In epoca di globalizzazione, di multiculturalità è facile trovare attività commerciali nostrane affiancate da quelle gestite da stranieri.
Ma chi sono gli stranieri, come sono visti dalla popolazione italiana? L’Italia si divide in due schieramenti, quello che sostiene democraticamente il mondialismo e concepisce il proprio Paese come parte attiva di un grande continente aperto e, dall’altra parte, lo schieramento che sostiene la necessità di frenare e scoraggiare l’immigrazione, realtà in alcune regioni in oggettiva sovrabbondanza.
Il nostro Paese, vuoi per la sua posizione geografica, vuoi per una tradizione democratica di apertura, sostegno internazionale verso i Paesi in difficoltà è ormai una realtà multiculturale ed è normale e fisiologico che tutti gli stranieri residenti nel territorio italiano trovino impiego o aprano attività commerciali, anche coadiuvati da una normativa incentrata su agevolazioni fiscali dedicate. L’occupazione delle popolazioni accolte e la loro integrazione nella compagine sociale è una necessità per scongiurare atti di delinquenza e malavita organizzata.
La fotografia della situazione economica delle aziende di titolari stranieri dal 2012 al 2017 ne evidenzia una crescita graduale ed esponenziale. Secondo le rilevazioni Confcommercio le realtà commerciali gestite da stranieri sono aumentate del 26,2% mentre le aziende italiane sono calate del 3,6%. Complessivamente, sempre negli ultimi cinque anni, gli occupati italiani sono aumentati dello 0,6% e quelli stranieri dell'15,2%.
Un’accurata analisi Unioncamere-Infocamere mostra che il settore privilegiato (che rappresenta circa il 19% di tutte le aziende del settore) è quello del commercio al dettaglio, seguito dai lavori di costruzione specializzati e dagli esercizi pubblici e di ristorazione, oltre al settore delle telecomunicazioni.
Le comunità di immigrati nel nostro Paese tendono a riunirsi per nazionalità nei grandi centri urbani. Alcune nazionalità si sono fortemente concentrate in determinate province tanto da costituire una sorta di proprie 'patrie' imprenditoriali: l’Egitto, ad esempio, raduna in provincia di Milano circa il 45% di tutte le sue imprese in Italia; il Bangladesh è massicciamente stabilito a Roma, dove ha collocato il 42,5% delle imprese. Anche la comunità imprenditoriale rumena più estesa si trova a Roma con il 15% del totale delle imprese dei Romeni. A Napoli ha impiantato la sede il 19,6% delle imprese pachistane, mentre la maggioranza della popolazione cinese in Italia ha stabilito la propria attività a Milano.
Tutta questa imprenditoria di origine straniera, non serve solo a stratificare e diversificare il mercato e i servizi del nostro Paese, ma costituisce oggettivamente un apporto economico nel forziere dello Stato, in grado di contenere in alcuni casi e in alcune Regioni la contrazione fiscale inevitabilmente in negativo se limitata all’imprenditoria autoctona.
L’Italia oggi è uno spicchio di mondo, nel quale coabitano, più o meno amichevolmente, tante etnie e tante culture differenti. Non è possibile un ritorno al passato, ma molti stentano a comprendere che la diversità costituisce una ricchezza. Iniziamo a pensare alla Nazione come ad una grande azienda in cui ognuno con la sua esperienza culturale possa arricchire di ingranaggi sempre nuovi la grande macchina di nome Italia. In questa concezione di globalizzazione multietnica, l’economia gestita dagli immigrati però non può giovarsi di specifici benefici fiscali a scapito dell’imprenditoria locale.
Molti immigrati, inoltre, conoscono la normativa italiana e spesso i metodi “legali” per approfittarne ed eluderla. Un recente caso, che ha avuto una certa risonanza lo scorso anno in quanto inerente l’anno d’imposta 2016, è rappresentato dalla possibilità per gli stranieri di detrarre dalle tasse una quota per i familiari a carico, anche se sono residenti all’estero. Secondo le istruzioni della dichiarazione: «Sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che nel 2016 hanno posseduto un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili». Nel calderone dei familiari a carico, mediante semplice autocertificazione, sono stati inclusi fratelli e sorelle, nonni, suoceri, generi e il coniuge separato, con la condizione della convivenza con il contribuente o la ricezione dallo stesso di assegni alimentari. Molto spesso però i Paesi di origine degli immigrati sono carenti di archivi anagrafici che possano coadiuvare il nostro sistema fiscale nella verifica dei dati, per appurare quindi se tali familiari siano effettivamente a carico del contribuente e scongiurando abusi per pagare meno tasse.
A parte tale caso specifico, ad ogni modo, è imperante la necessità di un equilibrio normativo sia a livello fiscale e tributario sia a livello del sostegno sociale, che sorregga meglio l’imprenditoria italiana scongiurandone il collasso e il fallimento; che supporti maggiormente le nostre famiglie di disoccupati e a basso reddito. Un sistema normativo equo che favorisca la serena coesistenza multietnica e non coltivi il logorante seme dell’odio razziale.
Lorenzo Lelli
Edito nella rivista di settore
“The World of il Consulente” n. 89/2018
Zoom – Le riflessioni del Direttore
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