Proposta nel 2013, con le modificazioni intervenute, con la Legge di Bilancio 2018 diventa ufficiale: il divieto dei pagamento in contanti degli stipendi.

Dal 1 luglio 2018 non sarà più possibile corrispondere la retribuzione con il denaro contante direttamente al lavoratore, il pagamento in contanti è erogabile esclusivamente presso lo sportello bancario o postale del datore di lavoro, essendo in questo caso una transazione tracciabile dall’amministrazione finanziaria. Sono consentite tutte le modalità di pagamento elettroniche, il bonifico sulle coordinate IBAN del lavoratore e l’emissione di assegni bancari.

Questo vincolo è esteso a tutte le tipologie di contratto, l’unica esclusione spetta ai rapporti di lavoro familiare e domestico e ai rapporti instaurati con le pubbliche amministrazioni.

La firma della busta paga quale ricevuta di avvenuto pagamento è ormai superata e non certifica da sola la corresponsione dell’emolumento, è necessaria la prova ufficiale della transazione del denaro.

Per quanto il proposito di offrire sempre maggiori tutele al lavoratore teoricamente sia apprezzabile, l’esigua sanzione in caso di violazione dell’obbligo da parte del datore fa riflettere. Originariamente la proposta di legge prevedeva sanzioni importanti da 5mila a 50mila euro, ma la norma in vigore punisce il datore di lavoro con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da mille a 5mila euro, una misura che difficilmente spaventerà il datore intenzionato ad eludere il sistema.

L’obbligo della tracciabilità dei pagamenti mira ad ostacolare la condotta illecita di taluni datori che pagando in contanti gli stipendi possono corrispondere importi inferiori ai minimi previsti dalla contrattistica collettiva, eludendo agevolmente la vigilanza e mantenendo una condotta all’apparenza regolare. Questo fenomeno di questi tempi non è poi così infrequente, anche in considerazione dell’implicito ricatto subito dal lavoratore della possibile interruzione del rapporto di lavoro.

Tuttavia, non viene meno la possibilità che al lavoratore stesso venga chiesta la restituzione in contanti del denaro eventualmente percepito in eccesso rispetto agli accordi in essere tra le parti. In questo caso specifico, anche se il lavoratore prende maggiore coscienza della cattiva condotta del datore, viene tutelato esclusivamente quest’ultimo, dai cui documenti ufficiali ogni transazione risulterà regolare secondo legge.

Questo passaggio era inevitabile, in un’ottica di digitalizzazione, di sviluppo tecnologico in cui l’industria 4.0 viaggia a vele spiegate, le transazioni in contanti erano destinate a scomparire, in favore degli istituti di credito con sempre maggiore denaro con cui speculare e in favore dell’amministrazione finanziaria nella sua continua lotta all’evasione.

È auspicabile per il futuro un intervento di correzione che possa tutelare entrambe le parti.

 

Lorenzo Lelli

lavoraconnoi2

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